pubblichiamo oggi la seconda puntata della testi “un conflitto lungo un secolo”, se vi siete persi la prima la potete recuperare a questo indirizzo.
1.1 Dalla guerra di liberazione alla rivolta di Dersim
Durante la Prima guerra mondiale, l’Intesa mirava in Medio Oriente alla destabilizzazione interna dell’Impero Ottomano, attraverso l’incrocio di patti molteplici e in contraddizione gli uni con gli altri, stretti con diverse minoranze interne. Particolare attenzione era stata riservata ai curdi, soprattutto da inglesi e russi. Nel dopoguerra il Trattato di Sèvres (1920), nel più ampio progetto di smembramento in zone di influenza dell’ex Impero Ottomano e della neonata Turchia, prevede anche la formazione di uno stato curdo autonomo; al tempo stesso, durante la guerra di liberazione contro i greci, il generale e leader nazionalista Kemal Mustafa “Ataturk” promuove il Patto nazionale kemalista, all’interno del quale sono riconosciuti i diritti del popolo curdo. L’alleanza tra curdi e kemalisti porta alla vittoria contro gli occupanti già nel ’22 e dura fino al Trattato di Losanna (1923), che chiude i capitoli lasciati aperti dalla disgregazione ottomana.
Tra la fine del ’24 e l’inizio del ’25, dunque, la causa curda perde l’appoggio sia della comunità internazionale (la Società delle Nazioni non ne riconosce il diritto all’autodeterminazione), sia l’alleanza con la Repubblica turca (fondata nel ’22). Con la decertificazione che si verifica, possiamo datare in questo momento l’inizio vero e proprio del conflitto curdo-turco.
Il kemalismo si organizza come regime autoritario e movimento politico verticale, che vuole realizzare un progetto di omogeneità etnico-culturale e di modernizzazione autoritaria, fondamenta della neonata Repubblica. Le regioni curde dell’est diventano un obiettivo da pacificare e assimilare; al di là del potere civile, reale nucleo del consenso e del potere di Ataturk è l’esercito che aveva al suo interno da tempo una tradizione nazionalista e modernizzatrice. In questo senso, l’attivazione di confini e di identità è meccanismo rivolto non solo alle minoranze interne, ma anche al passato ottomano.
Dal 1925 si lancia lo slogan governativo della “Turchia ai turchi, dei turchi, per i turchi”: il suprematismo proprio dei Giovani Turchi è ora ideologia di Stato. I curdi vengono definitivamente espulsi dal Patto nazionale e dal Parlamento, inizia la discriminazione legale e la militarizzazione delle regioni orientali: del ’25 la prima legge che proibisce l’uso delle lingue diverse da quella turca e nega l’esistenza del popolo curdo; entro il ’28 si completa il quadro giuridico di esclusione, sottomissione e discriminazione. Tuttavia la Prima guerra mondiale aveva avuto due principali conseguenze: il Kurdistan si è riempito letteralmente di armi, che restano in mani curde anche dopo la guerra; il supporto militare e logistico dell’Intesa ha dato consistenza alle aspirazioni indipendentiste e fornito a capi tribù e primi nuclei nazionalisti importanti precedenti organizzativi. Così quando il governo turco attiva confini etnici e di esclusione, inizia il ciclo delle rivolte tribali e nazionaliste:
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Rivolta di Shaikh Said, 7 marzo 1925: fondata su un’ampia coalizione sociale e il coordinamento tra intellettuali, popolazione rurale, capi tribali e religiosi, non ha un programma rivendicativo chiaro, ma il carattere è profondamente conservatore (lo slogan principale della rivolta è: “Fondazione di un Kurdistan indipendente sotto protettorato turco e restaurazione del sultanato”). La ribellione riesce a diffondersi e obbliga lo Stato ad imporre la legge marziale, rinnovata fino al 1929, che dota il governo di poteri dittatoriali;
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Rivolta dell’Hoybun (“Indipendenza” in curdo), giugno 1930: organizzazione priva dei connotati tribali e religiosi precedenti, si dota di una struttura militare con ampio consenso nella società curda. Sua parola d’ordine è l’indipendenza senza compromessi del Kurdistan turco. La rivolta acquista una dimensione fortemente regionale, sia a causa del supporto dato dai curdi irakeni, siriani e iraniani; sia per l’aiuto dato dall’Iran alla Turchia nelle manovre militari oltre confine.
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Rivolta di Dersim, 1937: guidata direttamente da Sayyid Reza, un anziano capo tribale della zona e dettata più dalla disperazione che dalla logica militare e politica. Molto estesa, viene sedata brutalmente dall’esercito turco.
Negli anni successivi ad ogni rivolta si consolida la politica di annientamento culturale e fisico del Kurdistan, attraverso soprattutto leggi sulla deportazione e la dispersione della popolazione curda (1932-34), la negazione giuridica delle “istituzioni curde” (dai vilayet alle tribù), accordi con i paesi vicini (patto di Sa’dabad, 1937) contro il nascente movimento nazionalista curdo.
L’unica voce che si leva a favore dei curdi, in questo periodo, è quella della Terza Internazionale. Secondo M. Galletti (2004), le sconfitte subìte e la dura repressione hanno tre conseguenze principali: togliere forza alle strutture tribali della società curda; alienare definitivamente i curdi dalla Repubblica turca; silenziare per lungo tempo l’opposizione curda, che dovrà aspettare almeno tre decenni prima di tornare ad esprimere una forma conflittuale efficace.