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Tra campi profughi e frontiere.

Lasciandoci alle spalle il nucleo urbano di Amed, la vista che ci si propone è davvero singolare: da una parte la città antica e il ponte vecchio col loro carico di storia; dall’altra lo scempio lungo le periferie dei paesi e villaggi che si susseguono lungo la statale per Cizira. Il nostro tragitto si affaccia su un imponente processo di speculazione edilizia: ecomostri edificati sulle colline, palazzi mai conclusi a bordo strada, cave che cancellano montagne e discariche a cielo aperto. Una chiara linea di devastazione ambientale e territoriale del governo turco, che non ha riguardo per la natura e la storia di una civiltà sorta migliaia di anni fa.

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Con il contatto che ci accompagnerà nei prossimi giorni, ci spostiamo di pochi chilometri dalla città, restando nel distretto di Diyarbakir. Il campo profughi della zona raccoglie oltre quattro mila persone, per lo più curde-irachene di osservanza yazida. La vicenda di queste comunità non è molto distante da quella degli altri profughi presenti nella zona. I racconti della fuga dall’assedio dell’IS, condividisi con noi naturalezza, ci appaiono incredibili e carichi di emotività.

Il 3 Agosto 2014, in seguito all’attacco di Daesh ai villaggi yazidi del distretto di Shengal, le formazioni Ypg intervengono per rompere l’accerchiamento dopo la ritirata dei Peshmerga. Dopo aver fornito loro un primo soccorso (medicine, cibo, acqua, vestiario) i sopravvissuti vengono accompagnati in direzione del confine turco. Nei giorni successivi le municipalità dell’Hdp, in seguito al colpevole disinteresse del governo turco, allestiscono campi profughi nei pressi di Diyarbakir, Sirnak e Batman.

Nel campo si sperimenta il modello di autogestione del Confederalismo democratico: all’interno vi sono un ospedale, una scuola per bambini, un centro per sole donne, strutture per attività sportive e ludiche. I muri del campo rievocano i simboli e gli episodi della resistenza.

Dopo aver salutato la dirigente della struttura, ci siamo rimessi in viaggio verso Cizira, passando da Mardin e Nusaybin. La strada costeggia per chilometri il confine turco-siriano. Oltre la no man’s land filo spinato, torrette grigie di guardia e i binari della linea Berlino-Baghdad. A cavallo tra il Bakur (Kurdistan settentrionale) e il Rojava (Kurdistan occidentale) la vista dei mezzi militari in movimento evidenzia la vicinanza alla guerra che infiamma le aree oltreconfine. L’impatto con le case di Qemishlo rivela l’esistenza di un territorio liberato dalle organizzazioni partigiane.

Rojava resiste, tra Amed e Cizira Botan, 8 ottobre sera