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Ultimo giorno di viaggio: finisce il coprifuoco, non la resistenza

La notizia della fine del coprifuoco inizia a girare in città dal tardo pomeriggio, quando da Dag kapi (la piazza dove è stata uccisa la ragazzina di 9 anni) è partito un corteo spontaneo degli abitanti finalmente liberi di uscire dalle proprie case. In serata, invece, circolano le prime foto dei danni subìti dalla città vecchia.
Questa mattina le barriere della polizia che limitavano l’accesso dalla “Porta della montagna” al quartiere Sur sono completamente rimosse e nelle zone fino a ieri bloccate riprende la vita: una gran folla attraversa il bazar nuovamente attivo, i caffè sono di nuovo popolati di persone, le piccole botteghe degli artigiani riaprono. I toma e i blindati della polizia continuano a pattugliare le strade.

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A terra sono però ancora evidenti i segni del coprifuoco, che aumentano più ci si avvicina alla zona libera di Hasirli, dove gli scontri e le violenze sono state maggiori. Superate le prime barricate, gli abitanti hanno iniziato dalla mattina le ricostruzioni, molti capannelli si formano nelle vie strette. Soprattutto, si attende con preoccupazione la conta delle vittime, tra assassinati e feriti.
Il quartiere è più popolato del solito: dopo la strage di Ankara, il coprifuoco e con l’approssimarsi delle elezioni, aumentano le presenze di internazionali. A loro come a noi, spontaneamente gli abitanti mostrano i segni della devastazione nelle case e nelle strade: migliaia di fori di proiettile su moltissimi muri, bossoli per terra, porte e finestre sfondate e colpite, crateri delle esplosioni causate da armi di grosso calibro. Nella piazza della moschea Ulu Camii, principale luogo di culto della città e un tempo meta turistica, i danni più impressionanti: la cancellata divelta, l’ingresso abbattuto e la facciata crivellata dai colpi dei mezzi pesanti. Molte delle vie che avevano i teli di protezione dai cecchini alla nostra ultima visita, ora sono completamente scoperte. Le scritte e i simboli politici inneggianti alle forze di autodifesa, Ocalan e il Kurdistan libero cancellate o danneggiate dai calci di fucile. Al loro posto la polizia speciale e i gruppi non meglio identificati che l’hanno affiancata, hanno segnato il loro passaggio con scritte come “Lo Stato turco è passato qui”, “Fieri di essere turchi”, “Hpo” (sigla delle forze speciali), slogan islamisti e simboli dei Lupi grigi, l’estrema destra ultranazionalista.

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Le opposizioni e i movimenti curdi denunciano da tempo oltre alla connivenza turca con Daesh, anche l’organizzazione e l’armamento di brigate islamiste in territorio siriano, che non solo combattono contro le Ypg e Ypj, ma vengono utilizzate spesso in Turchia nelle “operazioni antiterrorismo”. Inoltre è evidente dai segni lasciati nella città vecchia di Amed la forte presenza tra le forze di sicurezza turche di elementi esplicitamente vicini all’estrema destra.
Il cuore della zona libera di Sur non è però crollato ed ha resistito all’assalto militare e fascista: lo schiaffo in faccia più forte che i resistenti di Amed e del Kurdistan potessero dare alla terza potenza militare della Nato.

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Partendo lasciamo una situazione tuttora in divenire e dal futuro incerto. In questa regione del mondo si svolgono molti conflitti: la rivoluzione politica del confederalismo democratico nel Bakur (il Kurdistan turco) e nel vicinissimo Rojava; la guerra sporca di Erdogan e dello Stato contro le opposizioni e il popolo curdo; il “Risiko” mediorientale oltreconfine, dal respiro ormai internazionale.
Sul fronte interno, la Turchia vive ormai una polarizzazione politica che rende sempre più incerto l’esito delle elezioni e i suoi possibili scenari. I coprifuoco e l’annullamento della democrazia nelle regioni curde proseguono, con le violenze sui civili (non abbiamo problemi a definirli crimini contro l’umanità) e la rimozione forzata di sindaci e rappresentanti istituzionali dell’Hdp. Le indagini sulla strage di Ankara, oltre ad aver comportato le dimissioni del direttore dei servizi segreti e del capo della polizia, hanno rivelato la presenza nelle liste dei potenziali kamikaze in mano all’intelligence dei due sospetti esecutori; tuttavia, oltre all’ipocrita lutto di facciata, prosegue la criminalizzazione dei movimenti curdi e il rifiuto della tregua proposta dal Pkk. Quest’ultimo e il Pyd (il Partito dell’unione democratica, l’organizzazione politica cui fanno riferimento Ypg e Ypj) vengono indicati a più riprese come responsabili, nonostante la dichiarata mano jihadista, a causa dei molti rapporti che gli attentatori avrebbero avuto con le due organizzazioni in Siria. Inoltre, il blocco dei social network e le limitazioni alla libertà di stampa sono state oggi legittimate da una sentenza della Corte della Repubblica di Ankara, che impone il divieto di diffondere informazioni relative alla strage.

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Tornando con ben poca voglia tra le luci e i grattacieli di una Istanbul divenuta tristemente simbolo della modernizzazione imposta dall’Akp, molte immagini ci tornano alla mente: incontri, parole, volti di una resistenza e di una vita che parlano anche a noi. Torneremo, e come noi tanti altri: ognuno a costruire un piccolo tassello per una solidarietà che non sia solo morale, ma soprattutto umana e politica. Attiva.
In curdo non esiste una traduzione esatta di “buona fortuna”. Den Bas indica “buon proseguimento, buon momento futuro”, proprio perchè il proprio cammino non è dovuto al fato o al caso, ma è frutto consapevole nelle mani di ciascuno.
Così salutiamo i compagni curdi, con quella fraternità con cui ci hanno accolto e accompagnato. Den Bas.

Rojava Resiste – Cuori e mani per il Kurdistan
Amed-Istanbul, 14 ottobre